Bologna la dotta

Per i non bolognesi DOC si è trattato di un importante revival. Giù dalle brande verso le 6.30, doccia, caffè, giacca, cravatta, raccomandazioni diverse dalle spose e via, verso Bologna.
         In origine, il brodo primordiale di questo incontro consisteva in un sogno di una magnata primaverile, consumato tra ex AUC di due Compagnie 1966, circa metà del secolo scorso.
         La realtà però supera sempre la fantasia, ed ecco che, forti di una accurata descrizione del luogo di appuntamento, incontriamo i nostri ospiti alla stazione ferroviaria, e veniamo accompagnati praticamente per mano sotto bei porticati, isole pedonali pulite  e ben frequentate, fino a sfociare in Piazza Maggiore. Anche a costo di innescare feroci polemiche, devo dire che amo molto Piazza del Campo a Siena, molte piazze di Roma ed ho un ottimo ricordo di Piazza del Popolo di Ascoli, tanto per cambiare. Qui però c’è qualcosa di nuovo: sullo stesso luogo si affacciano potere civile (Comune) e potere religioso (S. Petronio) e mi sa che non è una cosa tanto diffusa, specie nel nostro Paese. Viene da pensare sul fatto che stiamo parlando del salotto buono dei bolognesi, sotto lo sguardo rassicurante di un Nettuno che poi non ci azzecca qui col mare, ma tant’è.
         Bologna medievale, scorci delle torri, simpatica compagnia, ritrovo di amici di pazzie giovanili, ma clima sereno, comunicativo, amichevole. Viene da pensare che sia questo il segreto del piacere degli incontri tra ex commilitoni, e si apprezza ancora la saggia affermazione di uno di noi – appunto – secondo cui le vere amicizie sono solo quelle della scuola e del militare.
         Palazzo Grassi, Circolo Ufficiali di presidio, ci si svela un po’ per volta: tra cappelle seicentesche e vetrate preliberty, abbiamo la sorpresa: il Gonfalone del 42^ AUC.  Questo bel simbolo si affianca così al crest in vetro multicolore che portiamo in giro per l’Italia ed alla fiamma del corso, ambedue create da valorosi ex AUC. Fuori piove a scrosci, ma solo durante la consumazione del ricco buffet di benvenuto e del pasto, dal quale – come è stato pubblicamente rilevato – brilla per la sua assenza l’ignobile poltiglia rosastra del jambonet mai abbastanza vituperato.
         E ancora una sensazione, importante: tutti noi nella nostra vita lavorativa e sociale abbiamo preso parte a ricevimenti, pranzi, cene, saluti, matrimoni, battesimi e cerimonie diverse: qui sembrava di stare ad un desco familiare, parlando serenamente tra noi, ritrovando volti, voci (che non cambiano negli anni) sostanziale identità di vedute. Facile, si potrà dire, appartenete tutti a una medesima generazione e avete le stesse idee. Manco per niente: abbiamo attraversato austerity, anni di piombo, inflazione a due cifre e adesso… lasciamo perdere.

Alle 21 circa tutti a casa: Milano, Padova, Roma, Brescia, Arezzo, Siena…non ricordo tutti. Al mattino dopo mi sono reso conto del fatto che, per sei ore a Bologna (passate in un lampo) mi ero caricato, a settant’anni, sveglia antelucana e otto ore di viaggio. Riflettendoci su, anziché recarmi devotamente a Messa a S.Paolo fuori le mura, mi sono addormentato e, nel sonno, un bagliore: D’annunzio chiamava un attributo maschile il Gonfalon Selvaggio: che il Gonfalone di Bologna significhi……chissà!     

 

 

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